IGP: Brunello di Montalcino 2007 Cupano in magnum
Pranzo di Ferragosto, di quelli seri e belli, in famiglia lontano dalla spiaggia, immerso nella campagna cilentana ai piedi del monte Gelbison. Il capretto locale con le patate è d’obbligo, ma con cosa abbinarlo?
Gira e rigira tra le bottiglie, questa no è troppo giovane, questa no perché è troppo fine, questa no perché estrema…ecco, questa magnum 2007 di Brunello di Montalcino di Cupano che giace da tempo ormai immemorabile nella vecchia cantina di casa. Daje!
Pur avendo partecipato a numerose Anteprime Brunello, soprattutto nella seconda metà degli anni ’90 e visitato Montalcino innumerevoli volte, non mi ritengo affatto un esperto di questo terroir i cui viticoltori hanno saputo costruire in breve tempo un capitolo entusiasmante della storia del vino italiano. Non a caso nasce qui la comunicazione moderna della viticultura del Belpaese proprio in quegli anni entusiasmanti che ha visto il territorio senese protagonista della nascita del Movimento Turismo del Vino con la Cinelli Colombini e delle stesse Città del Vino con l’enoteca di Siena.
Un terroir che ha saputo dare valore alla propria viticoltura, vendersi alla grande all’estero, capace di attrarre storie ed investitori da luoghi lontani anche se spesso vittima delle tipiche faide dei paesi italiani.
Cupano è una di queste belle storie, e cercando in rete ho trovato un bellissimo pezzo di Luciano Di Lello, grande scrittura e mai banale, colto e appassionato che descrive questa atmosfera: “Alla mia richiesta di notizie così, dopo un aggrottare di fronte carico di “Mah” e “Non so …” appariva a volte un “Ah sì, … è un francese” e finiva lì, non capendosi bene cosa significasse questa differenza di nazionalità. Oppure, nel caso più magnanimo “Sì carini, lui e la moglie, ma certi prezzi …”. E questa volta non so se con più invidia che altro. Comunque i vini di Cupano sono stati, a mio avviso, un altro tratto di storia importante nella giovane vicenda del Brunello, distinguendosi con un timbro tutto loro e particolare, perché come sempre è il sito a dare un gusto, un sapore, una dimensione al vino che nasce“.
Brunello di Cupano. Parliamo di Lionel Cousin e sua moglie Ornella che dopo aver frequentato Montalcino sin dagli anni ’70, quando il Brunello come lo conosciamo oggi non esisteva, comprano la tenuta nel 1996. La frequentazione della coppia nasce dall’amicizia con il pittore Yoran Cazac. Lionel era direttore di fotografia in molti film, francesi e della cinematografia centro-africana. La proprietà è di 34 ettari con un casale, all’epoca era ancora possibile fare questi acquisti, a 200 metri di altezza con sguardo sul fiume Ombrone in direzione mare.
Ma non è solo la storia di Lionel e Ornella ad essere interessante: anche la filosofia di approccio alla produzione che parte da circa sette ettari nel 1998 che ha come riferimento la filosofia biodinamica di François Bouchet in tempi veramente non sospetti, a cominciare dall’uso di lieviti non selezionati e delle barrique di media tostatura che mostrano immediata simpatia per il sangiovese allevato in queste specifiche condizioni pedoclimatiche su suolo argilloso e in parte ciottolato.
La 2007 è ufficialmente annata a cinque stelle per il Brunello di Montalcino. Pur non volendo dare un credito definitivo a questa classificazione (ma a quale altra se no?) sappiamo tutti che per gli enologi è stata una vendemmia di incorniciare, estate particolarmente calda, la più calda dopo la 2003 e prima della 2011, che ha portato a piena maturazione le uve. Caldi, ma anche le giuste piogge, con frutta sana in cantina quasi ovunque. Le annate calde non sono di per se una tragedia se si impara a difendere l’uva, anzi sono spesso un trampolino di lancio per chi ha saputo fare bene il lavoro in vigna come dimostrano ancora oggi tanti rossi (ma anche bianchi) del 2003.
In questo caso Cupano ci è apparso un vino connotato da due elementi immediati: la grande bevibilità e la perfetta integrazione tra il frutto e il legno. Al naso ancora note di ciliegia matura, ma anche di tabacco, rimandi balsamici e spezie dolci a contorno di un naso dominato dalla percezione gradevole fruttata. Al palato è morbido, i tannini sono presenti ma perfettamente risolti e levigati dal buon uso del legno e dallo scorrere del tempo. La frutta scorre su una rinfrancante sensazione di freschezza, il vino è tonico, non ha segni di cedimento e vanta un finale piacevole, lungo, pulito.
Un difetto, se tale vogliamo considerarlo, è la presenza di un po’ di residui, ma la vecchia regola di tenere la bottiglia vecchia in orizzontale dal giorno prima ha funzionato bene.
Insomma che dire, un vino di stampo tradizionale, senza colpi di scena olfattivi, ma vero, assolutamente efficace sul capretto al forno.
Un Ferragosto meglio di questo?
Luciano Pignataro